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“L’occhio delle donne” dizionario biofilmografico delle registe e dei loro film, è stato compilato da me nel 1995. Oggi la rete offre una marea di informazioni su tutto il sapere umano, quindi anche sulle registe. Questo mio piccolo contributo vuole essere un tentativo di sguardo d'insieme sul grande lavoro compiuto e in corso di compimento da parte delle professioniste della macchina da presa. Un lavoro non certo esaustivo ma che cerca di nominare il maggior numero di donne che si sono appassionate alla professione registica.

giovedì 2 maggio 2013

L'OCCHIO DELLE DONNE. 13 - ALINA MARAZZI

ALINA MARAZZI


Regista di documentari televisivi a carattere sociale; lavora come aiuto regista per il cinema, principalmente con Giuseppe Piccioni. Ha collaborato con lo Studio Azzurro sia su progetti cinematografici che installazioni. Tra le altre attività ha tenuto laboratori audiovisivi all'interno del carcere di San Vittore a Milano e per due anni ha lavorato all'interno del progetto Fabrica sotto la direzione artistica di Godfrey Reggio. Si è segnalata all'attenzione della critica e del pubblico internazionale con il suo primo film documentario “Un’ora sola ti vorrei” un ritratto della madre morta suicida quando lei aveva sette anni, di cui cerca di ricostruire l'esistenza attraverso un montaggio di sequenze filmate dal nonno paterno. Presentato a Locarno in Concorso video, il film riceve la menzione speciale della Giuria, e in seguito il premio per il miglior documentario al festival di Torino. Dopo il successo di questo film intimo e personale, ha realizzato “Vogliamo anche le rose” (2005) con il quale intende «ripercorrere la storia delle donne dalla metà degli anni Sessanta fino alla fine dei Settanta e metterla in risonanza con il nostro presente conflittuale e contraddittorio, nell'intento di suscitare una riflessione su tematiche ancora aperte se non addirittura rimesse grossolanamente in discussione». Ancora nel 2005, ha realizzato “Per sempre” documentario spirituale sulla vita monastica.
Nel 2012, per lei, l'esordio nel lungo con “Tutto parla di te” in cui racconta, con sensibilità, una complessa storia di donne alle prese con le gioie e i dolori della maternità. (tratto da MyMovie)


Tutto parla di te

(Nota dopo aver visto il film)


Dico subito che non sono più giovane e che non ho mai avuto figli.
Detto questo, il film “Tutto parla di te” è riuscito a catturarmi, non immediatamente, ma insinuandosi dapprima nei miei pensieri per poi giungere al cuore, rievocando ricordi e racconti ascoltati nel corso degli anni di altre donne amiche che hanno vissuto l’esperienza della maternità.
Questo film non si ammanta di emozioni scalpitanti, non ci sono momenti catartici scoppianti di colori e suoni, non c’è pronto il melodrammone, no!
“In tutto parla di me” il clima è pacato, alle volte distaccato, come se la regista volesse tenere a freno emozioni incontrollabili.
Le immagini esteticamente pulite (ottima fotografia) non sono mai esplosive. Tutto è quasi normale, nel bello che accoglie il nostro occhio lasciandoci il tempo di ascoltare, guardando e seguendo una sofferenza muoversi viva nella suo quotidianità.
Dunque, vita normale di donne moderne, giovani donne con desideri di sé che sentono bloccati da quell’evento magari anche desiderato  ma che spesso non le trova sufficientemente preparate per viverlo.
Donne che si trovano davanti a una esperienza terribilmente sconosciuta che le risucchia totalmente e le fissa in un tempo che non concede tregua. “Un figlio è per sempre” dice una protagonista. E’ vero, l’amore per un figlio può non finire mai, ma in quel momento sembra che non finiranno mai anche i pianti notturni e l’accudimento costante.
Credo, che Alina Marazzi con questo ultimo film voglia chiudere un cerchio aperto con “Un’ora sola ti vorrei” dove ha raccontato la vita di sua madre terminata con un suicidio dopo la seconda gravidanza.
In “Tutto parla di te” invece si sofferma nella vita di tante giovani donne, nei loro sentimenti, nelle loro debolezze, la telecamera indugia sulle loro lacrime, sulla loro momentanea fragilità, sui loro gesti sconsolasti. Ma non eccede, è misurata, è in ascolto, quasi la regista voglia trovare una soluzione, una via di scampo.
E la trova mettendo a confronto la storia di una donna non più giovane che ha elaborato il suo dolore e che vuole liberarsene per sempre. Riflettendola in quella di una neo mamma in crisi: la relazione che si instaura tra le due donne diventa appagamento e liberazione di sensi di colpa che l’una provava verso la madre e l’altra prova verso la sua piccola creatura.






Per le due coprotagoniste, tanto diverse ma tanto unite, un dolore senza nome custodito nel cuore e nel cuore risolto.







 



E la trova! Ma ce la suggerisce con una delicata fantasia animata quasi non abbia il coraggio di dirla a piena voce, quasi sia così difficile ipotizzarla con corpi vivi e situazioni reali.